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DEDICATO ALLA MAMMA DI DANIELE
Maria Teresa porta la sua toccante testimonianza di vita
e di crescita interiore accanto ad una malata di Alzheimer.



Mia suocera non c’è più da tre anni, ci ha lasciati per farci proseguire il nostro cammino e ricominciare dopo 15 anni la nostra vita di coppia, forse più uniti, con un bagaglio umano di sofferenza, ma anche con un arricchimento interiore grandissimo.
Non ho mai pensato che tutte le energie spirituali e fisiche che avevamo impegnato in quegli anni per aiutarla a vivere fossero prive di significato, e anche quando ormai non ci riconosceva più, la sua vita per noi non ha mai smesso di essere un valore.
Non so che nome potrei dare alla mamma di mio marito, perché è di lei che parlo, di questa creatura che ad un certo momento, nel pieno delle sue forze, è entrata nella mia vita di sposa e mi ha costretto ad affrontare e risolvere problemi per me assolutamente nuovi e di fronte ai quali non potevo sfuggire. Due grandi occhi azzurri, un viso incorniciato da una bella capigliatura bionda, sempre in ordine, curata, attenta a tutto e poi.....
e poi la parola: non riusciva più a pronunciare le parole giuste, a fare un discorso, a farsi capire. Di conseguenza l’impossibilità di comunicare con gli altri, di sentirsi a proprio agio.
Dopo quattro anni di matrimonio mio suocero morì e io e Daniele, soli, abbiamo dovuto prendere coscienza di questa realtà. La prima reazione fu di incredulità, smarrimento e impotenza di fronte a questo essere che di giorno in giorno perdeva e dimenticava tutto ciò che era necessario alla sua sopravvivenza, ovvero a tutto ciò che ci fa dire: questo è un essere umano, con i suoi sentimenti, i suoi affetti, il suo mondo di interessi ed attività, costruito nell’arco di una vita.
Anni fa questa malattia non aveva un nome, a tutti era sconosciuta e i medici non sapevano che consigli darci, anche in considerazione della giovane età di mia suocera.
In poche parole tutti presero le distanze, anzi, avvertivo quasi un senso si paura e di rifiuto negli altri ad affrontare questo problema.
Allora decisi che la commiserazione del prossimo mi infastidiva e non serviva a nulla; che mi sarei lasciata guidare dall’istinto affrontando così, ora per ora, giorno per giorno, tutte le novità e i cambiamenti che stavano avvenendo in lei.
Decisi di prendere le decisioni più importanti nel momento in cui scattavano in me o in Daniele i meccanismi giusti per difenderla e proteggerla. Iniziò così il nostro impegno mentale, spirituale e fisico nel cercare di capirla, di interpretare ciò che voleva, senza farla sentire diversa. Le misi accanto una signora, molto dolce e paziente, che trascorreva con lei alcuni pomeriggi della settimana, portandola fuori, dandole la possibilità di continuare a vivere, dal momento che i nostri impegni di lavoro e di famiglia non ci permettevano una presenza costante. Abbiamo cercato il più possibile di lasciarla autonoma, anche se questo ci procurava pensieri e paure.
Pensavamo che il giorno in cui il nostro impegno affettivo e la nostra disponibilità sarebbero venuti meno, per il venir meno delle nostre forze, avremmo deciso per la soluzione più dolorosa ma inevitabile:
il ricovero.
E venne anche quel giorno, e da quel momento iniziò una nuova fase della nostra vita. Era finito il nostro impegno fisico alla sua assistenza, rimaneva solo quello affettivo.
Ormai lei non viveva più per noi, noi vivevamo per lei.

Maria Teresa Rizzi Marturano


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