Scheda N. 1Aggressività
I malati di demenza possono, in alcuni casi, reagire eccessivamente e, addirittura, diventare aggressivi in situazioni che non giustificherebbero tali reazioni. Possono, ad esempio, mettersi a strillare o lanciare accuse irragionevoli, oppure agitarsi senza motivo e rifiutare di muoversi o seguirvi da qualche parte. Questa tendenza a reagire in maniera spropositata è dovuta molto spesso alla malattia, cioè al danno cerebrale, che accentua gli aspetti negativi del carattere e addirittura ne fa emergere di nuovi. Altre volte, invece, la reazione può essere dovuta a una situazione che provoca nel malato confusione, agitazione, senso di incapacità (del resto ciò che accade anche alle persone normali quando devono fare o decidere molte cose contemporaneamente, fino a sentirsene sopraffatte). Molte volte un comportamento del genere costituisce per il familiare uno dei primi segno di riconoscimento della malattia. Si tratta infatti del riflesso dello stato di confusione generale nel quale viene progressivamente a trovarsi il malato. Il comportamento da tenere in questi casi con il malato non può essere sempre uguale ma deve essere adattato alle singole capacità individuali e anche al grado di avanzamento della malattia. In generale, si tratterà di riuscire a trovare la soluzione migliore attraverso prove e tentativi. Ciò che bisogna sempre aver presente è un semplice concetto:
le reazioni e l'aggressività del malato non sono dirette
Si tratta infatti di manifestazioni di uno stato d'animo d'ira, agitazione o, più semplicemente, confusione, che deve venire in qualche modo espresso.
intenzionalmente verso chi lo assiste o gli sta vicino.
Alcuni consigli potranno aiutare a fronteggiare simili situazioni.Cercate di reagire con la massima calma. Rispondere di scatto o mettersi a discutere può scatenare nel malato reazioni ancora più accese. Cercare invece di distrarre la sua attenzione su un'altra cosa (che magari sappiamo interessarlo) o di persuaderlo con dolcezza o di rassicurarlo, anche tenendogli la mano lo aiuterà a tranquillizzarlo. La miglior cosa, per chi assiste il malato, è sempre cercare di dimenticare ciò che è successo o, comunque, non dargli importanza (sforzandosi sempre di ricordare che è la malattia che porta a compiere certe azioni): il malato stesso infatti finisce per scordarsi dell'accaduto in un tempo molto breve (a causa della malattia).
Simili reazioni del malato sono certamente difficili da accettare: essere offeso, minacciato o addirittura picchiato da qualcuno che si sta assistendo ferisce profondamente, anche sapendo che non vi è alcuna intenzionalità in tali comportamenti. Sforzatevi, in ogni caso, di evitare assolutamente di rimproverare o, peggio, punire il malato (per esempio, rifiutandogli un piacere). Non servirebbe a nulla perché egli, il più delle volte, non è cosciente della ingiustificatezza delle sue reazioni: è come un bambino che, invece di crescere e imparare, regredisce e perde sempre più, senza poterle recuperare, le nozioni e capacità acquisite in tutta la sua vita.
Spesso è utile cercare di capire quale sia stata la causa scatenante la reazione, se una causa sia esistita. In tal caso bisognerà evitare che si verifichi o si ripeta il fatto rischioso individuato. Quando una specifica causa non esista bisognerà allora trovare e quasi inventare una "tattica di sviamento" da mettere in pratica ogni qualvolta si verifichino simili atteggiamenti. L'approccio migliore consiste nel cercare di spostare l'attenzione del malato verso un'altra attività, ma è chiaro che ognuno dovrà trovare da sé, nel singolo caso e di fronte al singolo malato, la più semplice via d'uscita.
Una forma di eccessiva reazione è spesso il lamentarsi ininterrottamente o, al contrario, il ridere in continuazione, senza che ve ne sia motivo o per motivi irrisori. Anche in questi casi valgono i suggerimenti dati: cioè cercare di distrarre il malato o di far cessare la situazione che si è riusciti ad individuare come possibile causa della sua agitazione.Naturalmente, non sempre si riesce a controllare le proprie reazioni: è più che naturale e non bisogna sentirsi in colpa per aver magari risposto d'istinto in malo modo. Tanto più che il malato, il più delle volte, si scorderà molto presto dell'accaduto. Piuttosto, se ciò dovesse ripetersi frequentemente, vuol dire che è necessario per voi un aiuto dall'esterno, anche solo a livello psicologico, che vi consenta di "ricaricare le batterie" (per esempio parlare e sfogarsi con persone che conoscano la vostra situazione). Infatti, l'ansia e lo stress accumulati nel tentare di assistere al meglio il malato (spesso anche al di sopra delle proprie capacità fisico-psicologiche) si trasmettono inconsciamente al malato stesso il quale, a sua volta, finisce per diventare ancor più agitato. Se poi le vostre reazioni diventano col tempo sempre più incontrollabili e addirittura violente verso il malato vuol dire che avete assolutamente bisogno di risposo e di pensare prima di tutto a voi stessi. Avete, infatti, raggiunto il limite delle vostre possibilità di prestare assistenza al malato, con la necessaria pazienza e calma. Per scongiurare questo "esaurimento" (e quindi per la tutela della propria salute, oltre che di quella del malato, che abbiamo detto essere strettamente dipendente dalle condizioni di chi lo assiste) occorre cercare di non sopportare l'intero carico dell'assistenza al malato solo sulle proprie spalle ma, se possibile, coinvolgere altri familiari o persone di fiducia.
Un ambiente calmo e sereno, e abitudini di vita consolidate (di routine), contribuiscono molto a scongiurare il verificarsi di comportamenti aggressivi del malato. Egli è già confuso (si agita proprio perché non può spiegarsi il motivo della sua confusione) e la realtà e l'ambiente in cui vive gli devono venire presentati nel modo più semplice possibile (ad esempio, riducendo drasticamente le stimolazioni esterne di confusione come la TV; facendogli invece una domanda o richiesta può influire sulle reazioni del malato. C'è grande differenza nei confronti del malato di Alzheimer, tra chiedere "vuoi fare una passeggiata" oppure "vuoi passeggiare o riposare". In quest'ultimo caso la necessità di dover compiere una scelta precisa susciterà o aggraverà nel malato uno stato di agitazione che potrà, a seconda dei casi, restare sommerso oppure risolversi in un attacco d'ira.
Il malato può agitarsi anche quando si trovi tra persone che non conosce bene, con le quali dovrebbe instaurare una relazione che in realtà non è più capace di far nascere. Così pure quando gli venga richiesto di fare una cosa, magari semplicissima, di cui ha perso "il ricordo di come si fa" (per esempio, chiudere a chiave una porta o, più pericoloso, spegnere il gas da cucina). In questi casi è la frustrazione per non essere più in grado di compiere semplici e banali attività a venire manifestata nel comportamento aggressivo del malato. E' allora necessario, non appena ci si accorga che il malato non è più capace di fare certe cose, cercare di evitare di fargliene richiesta.
Spesso, stando quotidianamente a contatto con il malato, si riesce a capire (da certi "tic" o atteggiamenti) quando questi stia per agitarsi. In questi casi è così possibile cercare di prevenire le sue reazioni, rassicurandolo o distraendolo e, comunque, tenendogli la mano o abbracciandolo. Non bisogna mai scordarsi, infatti, che la comunicazione non verbale è la più importante ed efficace nei confronti di questi malati; col progredire della malattia diventa, anzi, l'unica possibile forma di comunicazione.
Quando in casa vi sono dei bambini, l'aggressività del malato può rappresentare un problema serio. Un adulto confuso e aggressivo può suscitare molta paura nei bambini (e anche negli adolescenti), che non riescono a capire cosa stia succedendo. D'altra parte l'agitazione del malato spesso può venire provocata anche da una sensazione d'inadeguatezza esasperata dall'atteggiamento dei giovani. Conviene in questi casi essere sinceri e avvertire i bambini, senza drammatizzare, che il loro familiare è malato e che i suoi "strani comportamenti" non sono voluti, ma conseguenza della malattia.
Talvolta il malato rivolge la sua aggressività unicamente nei confronti della persona che lo assiste, senza alcun motivo e anche con gravi minacce. Tenete presente che una violenza fisica vera e propria avviene in casi eccezionalmente rari. Tuttavia, se dovesse succedere, conviene lasciare la stanza oppure allontanarsi, sempre cercando di controllare ciò che fa il malato, finché non si sia calmato. Il dover vivere con la paura di venire aggredito non potrà non influire sullo stato d'animo del familiare minacciato (che dovrà premunirsi di trovare una persona alla quale poter tempestivamente chiedere aiuto) e sul suo rapporto con il malato. Di solito, comunque, il comportamento aggressivo può essere tenuto sotto controllo mediante un'oculata somministrazione di farmaci (possibilmente liquidi, per una più calibrata assunzione in gocce), sotto la direzione del medico. Il malato può anche rifiutare, a volte con reazioni minacciose, di prendere medicine. In tal caso, se non riuscite a convincerlo, chiedete al medico di prescrivere un medicinale che il paziente accetti più volentieri o che, anche a sua insaputa, possa essere aggiunto ad un cibo o bevanda.
Spesso il comportamento aggressivo consiste in continue accuse al familiare di nascondere cose del malato o di tramare contro di lui. Si tratta, come sempre, di sfoghi che nascondono una sensazione di paura e incertezza. Per quanto riguarda gli oggetti "rubati" è quasi sempre il malato stesso che li ha deliberatamente nascosti (a causa del suo generale senso di insicurezza) e che non ricorda più dove li ha messi. Non sarà difficile individuare quali sono i posti da lui preferiti e recuperare tali oggetti. Fate semplicemente finta di averli trovati per caso, senza rinfacciare alcunché al malato. se uno di questi luoghi può venire chiuso a chiave fate una copia della chiave per voi. Inoltre cercate di tenere gioielli, denaro, documenti legali in posti facilmente accessibili.
L'aggressività, a volte, può venire manifestata nei confronti di se stesso. In preda ad irritazione o confusione può, infatti, farsi volontariamente del male, soprattutto quando non riesca o, negli stadi più avanzati della malattia, non sia più in grado di comunicare la propria contrarietà ad un comportamento richiestogli da chi lo assiste. Può accadere, ad esempio, che il malato, non volendo fare una certa cosa e non potendo altrimenti farsi capire, incominci a mordersi una mano oppure a strapparsi i capelli. In questi casi occorre tranquillizzarlo e non insistere ulteriormente nel fargli fare ciò che così disperatamente ha cercato di farvi capire di non voler fare.
In ogni caso, soprattutto nello stadio iniziale della malattia, è fondamentale richiedere e ottenere dal malato, nei suoi momenti di lucidità, una comunicazione profonda e una collaborazione intensa e aperta per poter fronteggiare al meglio, insieme, il progredire della malattia.
Testo elaborato da Marina Presti e Fabio Notarbartolo in base alla diretta esperienza personale ed alle seguenti tracce bibliografiche: © Federazione Alzheimer Italia
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