NON ABBANDONARTI ALLA PAURA
Vorrei rispondere ad Antonella.
Ho 19 anni, mio padre ne ha 60 e sta combattendo con la malattia da sei anni, forse di più. E' difficile non saperlo, non sapere se il suo silenzio fosse solo il carattere, solo disinteresse o il primo sintomo di qualcosa di cui potevamo accorgerci prima, per iniziare a ricordare ogni gesto, ogni parola normale.
Era medico, mio padre, e mentre studio anatomia a volte mi chiedo come sarebbe averlo vicino e parlare della professione, del futuro, della ricerca... Come sarebbe quello che non può essere, mentre mia madre si consuma accudendo un uomo che l'ha fatta soffrire, non accudendo se stessa mentre esce dal cancro.
Forse per me è più facile, perché mio padre vicino non l'ho avuto quasi mai e la sofferenza si stempera nella rassegnazione dell'abitudine, ma anche io mi chiedo perché, perché proprio a me, perché proprio a lui che poteva ancora avere qualcosa da dirmi, da condividere.
Lo so che è brutto vedere la gente per strada che guarda, parla, commisera senza muovere un dito o dire una parola di conforto, gli ex clienti che chiedono "come sta" (la pietà, l'affetto, la curiosità, il pettegolezzo che si fondono).
Ci sono dei momenti in cui l'unica cosa a tenermi in piedi è un muro a cui mi appoggio, la consapevolezza del mondo fisico che non scompare, la sicurezza degli oggetti, delle cose che non perdono nel tempo, mentre tutto viene annientato da una frase interrotta, uno sguardo vuoto, un gesto ripetuto all'infinito. La sensazione di non poterlo fermare mentre si allontana per sempre.
Volevo dirti: “Non abbandonarti alla paura, non fermarti a pensare a quello che stai perdendo o al futuro. Aggrappati solo più forte che puoi a chi ti è vicino e vivi il presente attimo per attimo, tieni stretto ogni momento allegro, normale”.
E' l'unica medicina per noi, questa.Cate88
Ultimo aggiornamento di questa pagina 15 febbraio 2009