9 LUGLIO 2008
Questa mattina sono stata a trovare mio padre. Ma lui non c’era. Al suo posto ho incontrato un vecchio curvo che dormiva su una sedia di fronte a una finestra.
‘Ciao papà’ gli ho detto. Ma non mi ha riconosciuta. Gli ho accarezzato le mani e le ho osservate bene.
Quando avevo dieci anni su quelle stesse mani ci ho scritto uno dei miei temi più commoventi: il mio papà. Così si intitolava. Ho preso un bel 10 e lode e la mia maestra me lo fece leggere ad alta voce: che orgoglio!
A quel tempo il mio papà era un mito. E le sue mani le vedevo come una roccia sicura a cui aggrapparmi se avevo paura. E si sa che a 10 anni si ha paura di tutto. Ma la mia paura più grande era che ai miei genitori potesse accadere qualcosa di brutto: chi si sarebbe poi preso cura di me e delle mie sorelle? Ora, a 40 anni, questa paura è diventata una realtà. La realtà della vita. Una realtà che da quattro anni ha preso te, papà.
Alzheimer, così si chiama la tua malattia. Che sarà mai? Uno se lo può chiedere. Oggi si muore di tante malattie ma questa ... no, fino a tre anni fa, non sapevo nemmeno cosa fosse. Descriverla, o meglio ancora, immaginarla, non mi sarebbe stato possibile se non la stessi vivendo di persona. Non sono al cinema con degli attori che fanno finta di avere l’Alzheimer. No. Sono nella vita vera. E l’Alzheimer lo hai tu papà.
Ripenso alle tue mani di ora e alle mani descritte nel mio tema: non possono essere le stesse. Erano rugose e segnate dal lavoro e forti e decise. Con esse suonavi la chitarra e strimpellavi il pianoforte. Ora non riesci nemmeno a tenermi la mano né ad aggrapparti a questa vita. Te ne sei scivolato piano dentro un mondo nel quale non posso entrare se non con i ricordi. Essere figli è dura - lo pensavo quando avevo 17 anni. Ora che sono madre penso invece che sia più dura essere genitori. Perché ho capito quanto i miei genitori hanno fatto per me, seppur con i loro errori: ma chi è che non ne compie?
E’ terribile la consapevolezza di non poter tornare indietro. Papà se potessi tornare indietro non mi arrabbierei più perché sei sempre preso dal lavoro e stanco e non mi dedichi tempo. Non ti direi più: vuoi più bene al cane che a me (soprattutto da quando ho avuto Asia e ora la mamma mi dice: sei uguale a tuo padre!). Godrei dei tuoi sorrisi e delle nostre chiacchierate. Ricordi quando siamo andati in Calabria per fare le foto alla nuova casa del mare per poi mostrarle a mamma?
Di notte, ogni tanto, vieni a trovarmi: sei giovane ma io ho l’età e la consapevolezza di ora. Che bello sentirti parlare. Io nel sogno, che so che a 70 anni avrai l’Alzheimer, piango. Allora tu mi chiedi
“Che hai da piangere Giulianella mia?” ...così mi chiamavi ... “Niente papà” non te lo dico.
Voglio che almeno nel sogno tu stia bene. Tu sembra mi legga nel pensiero e mi dici “non preoccuparti, sto bene”. Poi mi sveglio e piango.
Piango per te, papà, che con questa malattia sembri aver perso la tua dignità di uomo. Ma anche per i miei figli che un giorno proveranno questi stessi sentimenti . Ripenseranno a quando mi facevano arrabbiare e vorranno tornare indietro. Ma non si potrà. E io vorrei essere lì con loro per rasserenarli, per fargli capire che li amo ancora e che, già quando le combinavano, io capivo, e li perdonavo e li amavo ancora di più.
Perché è questo essere dei bravi genitori. E tu e la mamma lo siete stati seppur con i vostri difetti. Tu sei il mio angelo, sei già tra gli angeli in cielo e per ora vengo a trovare questo signore anziano che ti somiglia molto, moltissimo. Ogni tanto mi sorride e se ci riesce mi tiene un po’ la mano. Io lo stuzzico e gli chiedo
- chi sono io?- ma non risponde
- chissà che un giorno non torni a dirmi
- che domande fai? Sei Giulianella, sei mia figlia.
Ultimo aggiornamento di questa pagina 25 gennaio 2009