HO LETTO LA MIA LETTERA ....
Lo sapevo che prima o poi avrei riscritto.
E' un po’ che non leggo le altrui testimonianze perché ogni volta inevitabilmente un enorme nodo alla gola non mi fa respirare e di lì a breve tante lacrime. Ma eccomi ancora qua.
Sono Sabina. Oggi un po’ più tranquilla rispetto all'ultima volta.
Proprio un minuto fa ho letto la mia lettera scritta in un momento di rabbia e mi è venuto da sorridere. Sì perché non sapendo cosa riservava il futuro ho perso la calma e ovviamente, col senno di poi, non l'avrei mai fatto. Oggi mio padre, dal 5 novembre 2007 e dopo qualche mese in una struttura dove hanno cercato di ottimizzare la terapia medicinale, è a tempo indeterminato in una casa protetta vicino a casa sua dove c'è ancora mia madre.
Ovviamente prendere la decisione di ricoverarlo è stata durissima, una giornata che ho sempre davanti agli occhi. Lui che vuole tornare a casa e non capisce cosa ci fa in quel posto dove non conosce nessuno, io che cerco di fargli capire che deve rimanere per qualche giorno per degli esami, perché un medico lo può aiutare; abbiamo trascorso così 3 ore e poi cogliendo l'occasione della visita del medico io e mia madre ce ne siamo andate come due ladre, senza salutare, senza rassicurarlo che saremmo tornate. Abbiamo dovuto fare così altrimenti sarebbe stato impossibile farlo rimanere.
E poi una volta sole, finalmente i pianti a dirotto e mia madre che diceva ".... se sapevo una cosa così (intendeva esasperante e dolorosa) me lo sarei tenuto a casa anche se mi ammazzava". Già proprio così, perché era diventato così cattivo che mia madre se l'è pure prese. Per una settimana poi ci hanno sconsigliato d'andare a trovarlo, per dargli tempo di adattarsi; altro periodo in cui ci sembrava di morire. Non si dormiva più, i pensieri erano sempre da lui: cosa farà, come starà, ci penserà, si sentirà abbandonato ecc....
Da febbraio appunto è alla casa protetta. Altro scoglio. E' stato incredibile quando sono andata a trovarlo il primo giorno; ho capito che in fondo ho sempre sperato che una volta trovata una cura che lo calmasse sarebbe potuto tornare a casa!! come ci sono rimasta male vederlo là, dove appena 1 anno prima andavo a trovare mia nonna di 93 anni, esattamente 20 in più di mio padre. Ho pianto tanto perché mi sono resa conto che quella ora sarebbe stata la sua casa, insieme a tutte quelle persone molto più anziane e anche loro ammalate. In mezzo a tutte quelle grida, quei rumori strani, quelle parole senza senso, almeno per noi.
Non ci potevo credere, eppure oggi che conosco il personale, sono contenta che sia là. E' trattato molto bene, accudito in tutto, gli fanno fare qualche giretto, ma da solo non cammina, c'è una bella animazione, gli fanno fare degli esercizi mnemonici, sono tutti veramente molto bravi e gentili; a casa sarebbe stato sempre nervoso, perché lo era, inevitabilmente, mia madre.
Vorrei fare capire a chi è ancora all'inizio che la strada affrontata da soli è troppo dura e non gliela si fa proprio, perché questa malattia purtroppo è più forte di tutto il nostro amore. Rivolgetevi a delle strutture, a degli assistenti. Noi abbiamo dovuto lottare per dargli una sistemazione degna e questa è l'unica cosa che possiamo fare. Lottare.
Non dobbiamo pensare che tenendoli a casa a tutti i costi li facciamo stare meglio. Non è così almeno per mio padre che era diventato molto cattivo. Anche mia madre si sente in colpa quando qualcuno racconta che il proprio familiare è stato a casa sino all'ultimo momento, ma veramente ci sono certi casi, come mio padre, che sono ingestibili.
Vorrei dire a Sara, quella ragazza giovane di Bologna, di non sentirsi sola, - anche se non troverai nessuno della tua età, la nostra esperienza unica con un familiare ammalato di Alzheimer, ci accomuna ed il dolore di ogni momento è lo stesso ad ogni età.
Sono vicina a tutti, abbiate sempre tanta forza, tanto amore e tanta pazienza.
Vi abbraccio forte.Sabina
Ultimo aggiornamento di questa pagina 16 gennaio 2009