UNA TELEFONATA PER USCIRE DALLA SOLITUDINE
Mi chiamo Maria, ho 25 anni e da circa uno mi prendo cura di mia madre, afflitta da questa terribile malattia. Scrivendo mi rivolgo a tutte quelle persone che sentono intorno e dentro di sé la solitudine. Parlo soprattutto di chi, come me, assistendo un proprio caro, vive questa condizione prendendone coscienza giorno per giorno. Io conducevo una vita tranquilla, avevo un lavoro, tanti amici, studiavo e viaggiavo: molto spesso per me la vita era sinonimo di divertimento.
Quando i medici hanno diagnosticato Alzheimer alla mamma, non riuscivo a rendermi conto di quello che sarebbe successo, e così è cominciato il calvario di mia madre e anche il mio. Ho lasciato tutto, così, bruscamente, per seguirla fisicamente e moralmente.
I familiari e gli amici mi esortavano ad avere più pazienza, ad essere forte e "ottimista"; quando cercavano di confortarmi, in realtà mi facevano sentire una vittima, un’emarginata ed io ripetevo sempre a me stessa: ma perché io, perché proprio io dovevo incappare in una simile situazione? Mi chiedevo fino a che punto avrei potuto reggere quel ritmo di vita, mi chiedevo che cosa sarebbe stato dei miei 25 anni!?!
E tutto l’amore che nutrivo (e nutro) per mia madre non era sufficiente per soffocare la voglia di libertà, per cancellare le contraddizioni, i sensi di colpa, le perplessità esistenziali che mi turbavano.
Come trascorrevo le giornate? Piangendo appoggiata al tavola della cucina, mentre lavavo i piatti, mentre cambiavo il pannolone a mia madre: sola, sempre sola. Covavo dentro di me una grande rabbia dettata dall’impotenza, dall’impossibilità di risolvere questa situazione.
Morivo dentro tra il grigiore della quotidianità e l’indifferenza della gente. E guardandomi allo specchio, battendo i pugni contro il muro mi ripetevo continuamente: cosa posso fare, cosa?
Avevo da qualche parte il numero di telefono della Federazione Alzheimer Italia. Ho telefonato, ho scritto, ho parlato. Ho parlato tanto con altre ragazze che, come me, vivevano questa esperienza. Ci siamo cercate, ci siamo capite, ci siamo aiutate. Affrontando l’insicurezza, sfidando l’indifferenza ci siamo ritrovate oggi non più sole, non più disperate, ma arricchite dentro, fortificate nello spirito e nella volontà.
Molti ignorano purtroppo l’importanza della comunicazione, ma l’uomo in ogni fase della sua vita, nella gioia e soprattutto nel dolore ha sempre e comunque bisogno di aprirsi, di condividere con altri che lo comprendano le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi pensieri.
Voglio ringraziare l’associazione Alzheimer per questa meravigliosa opportunità che ho avuto e vorrei far capire, se qualcuno leggerà le mie parole, quanto grande e importante sia questo servizio che ci mette a disposizione.
Maria Concetta Vaccarino